martedì 31 marzo 2009

L'elettrone e la farfalla














...quindi se il principio di indeterminazione di ci impone una scelta tra misurare la velocità o determinarne lo spazio occupato, e se toccare una farfalla significa spogliarla della realtà ontologica dell'essere una cosa vivente, cosa ci rimane?
Come possiamo noi conoscere il nostro oggetto di conoscenza?
Come possiamo essere osservatore e osservato? Scienziato e cavia?
Ma soprattutto, cosa c'entra tutto questo con il fatto di voler essere medici e infermieri?
Noi avremo a che fare con farfalle, e per di più malate.
Avremo a che fare con elettroni, e per di più incazzati.
Heisenberg era un semplificatore, in confronto.
Noi avremo a che fare con una tale complessità di eventi che neppure le LEGGI (gli assunti immortali, quindi) della FISICA (LA scienza pura per definizione) ci metteranno a riparo dalla pioggia di caos che ci arriverà addosso.
E non sarà sufficiente sventolare un piccolo ombrello bucato fatto di nozioni imparate sui libri, né ripararsi dietro il nostro camice ben stirato con il fonendoscopio in bella mostra.
Saremo risucchiati dalla Rete. Dall'HWW, Human Wide (o Wild?) Web.
E, piccoli con la lampada a petrolio ormai consunto, ci potremo trinciare dietro "appendicectomie retrociecali" o "linfoma non Hodgkin", come se tali entità esistessero realmente al di fuori di un corpo.
E non potremo sloggarci (o slogarci) quando vorremo, la persona che chiede il nostro aiuto lo chiede da noi. E subito. E professionale. E fanculo.
Ma noi resistiamo, dietro un linguaggio tecnico scientifico che ci fa sentire così tanto Maestri, così tanto Harrisoniani (non nel senso di Ford, ma del guru del libro diagnostico) o dietro un "non si preoccupi".
Poi arriva lei, quella bastarda sensazione che ti strappa via i peli dallo stomaco e ti rigira il fegato. Che ti strizza le palle come nessuno e niente ha fatto mai. Che ti riempie gli occhi di lacrime che non sapevi di avere. E allora sei fottuto. perché non sai cosa sia, perché ti hanno detto che non si deve, che un dottore non può. Perché ti hanno detto che sono gli altri a poter stare male e tu mai. E tu ti spaventi, ti senti inadeguato, stupido e infantile.
E il ruolo comincia a franarti sotto i piedi. e ti sei sempre e solo identificato con quello sei solo quello, beh, goodbye dude, proverai la sensazione di chi è uscito di casa e si accorge soltanto sopra l'autobus di avere ancora le ciabatte ai piedi.
Peccato.
Se in un angolo del tuo Netter così immacolato da sottolineature avessi permesso alla ragazza che ti sedeva un tempo accanto di farti sopra un cuoricino, forse adesso ti sarebbe utile.
Forse ricorderesti che anche a te è concesso provare emozioni.
E magari non ti ritroveresti a piangere come un cretino davanti ad un naso rosso circondato da bambini dalla testa monda e a chiederti il perché di tutto questo.
E non cercare adesso la parola "vita" su Wikipedia.
Credimi, sarebbe solo un triste tentativo che non servirebbe, peraltro, davvero a niente.

7 commenti:

  1. davvero
    mi sta battendo il cuore forte adesso
    e sudo freddo
    questo commento mi ha toccato

    sto pensando ai medici che ho incontrato
    non sono cattive persone, di solito,
    né molto buone
    sono normali...
    non spesso li ho visti partecipi davvero di quello che provava la persona davanti.. c'è anche un modo di dire apposito, "bisogna prevenire il transfert"
    ancora pochi medici sono disposti a credere che sia possibile essere amici dei propri pazienti
    ci sono importanti eccezioni però, bisogna dire che ci sono uomini meravigliosi, in ogni ospedale, io li ho visti

    sì ce n'è di umanità in ospedale, però tante volte è ovattata... altre volte proprio scade nell'ignoranza, nella normalità non così diversa dal comportamento di tanti di noi, per strada, quando in gruppo distruggiamo quello che reputiamo non importante, sia esso un cassonetto pubblico o i sentimenti di un amico o semplicemente quando con noncuranza buttiamo una lattina per terra
    allo stesso modo, con la stessa incoscienza di essere parte di un tutto, alcuni medici nella loro stanza privata si mettono a fare battute sui pazienti dicono spocchiosamente (ed il grave è questa spocchia, non il contenuto in sé): "rida rida il signor P., che se gli si stacca il trombo dalla poplitea voglio vedere come ride" si riferiva al fatto che i trombi venosi sono piuttosto fragili e possono staccarsi dal loro punto di origine per dar luogo poi a un'embolia polmonare, potenzialmente mortale.

    non era una cattiva persona questo medico, era una persona normale, che scherzava con leggerezza (e, ripeto, una certa fastidiosa spocchia) sulla vita di un suo paziente.
    non credo sia male scherzare bonariamente sui propri pazienti, se si è disposti a farci prendere in giro alla stessa maniera da loro, il punto è questa normale distanza che c'è fra persone, di cui una riveste il ruolo di medico, di cui l'altra di paziente.
    questa normale distanza che genera spocchia, e noncuranza

    ma d'altra parte dobbiamo preservare una certa distanza, altrimenti si rischia che si sviluppi un interesse emotivo, ed è pericoloso che fra medico e paz. nasca una amicizia.

    o no?

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  2. Ma tu sei un clown dentro!
    Sei, ora e adesso, lo stipite di un'intenzione, dello sforzo di capire, che è l'obiettivo più nobile che un uomo possa porsi.
    Grazie di cuor della tua nobiltà

    Stri'

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  3. @Iamarf: Grazie, felice che le sia piaciuto!
    @Maialinporcello: Vedi, già se ti poni questi dubbi significa che sei sensibile a a queste tematiche. Personalmente reputo le persone "distaccate" dai sentimenti come vittime delle loro stesse paure, il che sarebbe un loro problema se non avessero a che fare con i pazienti. Il solo rischio che vedo nel rapporto tra medici/infermieri-pazienti è il Burn-out, cioè l'incapacità, UNA VOLTA FUORI dell'ospedale di ritornare alla propria vita, ricaricarsi per una nuova giornata l'indomani. Ma non parlatemi di distacco emotivo che non solo non è possibile (siamo sistemi aperti) ma crea solo danni.Al paziente, alla medicina, all'operatore sanitario.Ma aggiungo che no, non è amicizia: l'amico me lo scelgo, condivido parti della mia vita che con un paziente non farei: questo non mi impedisce di donargli il mio tempo, il mio ascolto attivo, le mie premure e fare in modo che al rifacimento del letto il lenzuolo non gli vada in faccia. Dio è nelle piccole cose, qualcuno ha detto. Bene, ripartiamo di lì. Tutto il resto non fa parte della mia esperienza umana di cura delle persone con bisogni.
    @Noemi:io un clown? Ma se mi sono cascate le lacrime appena sono entrati nell'aula! ;-)
    @Maria Grazia Fiore: Grazie a te per il commento e piacere di avervi conosciuti tutti

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  4. che dire, interessante, personalmente il burn out non lo temo, né voglio separare la mia vita professionale dalla mia vita fuori dall'ospedale.. anzi mi piacerebbe vivere in un ambiente un po' particolare dove tutti fossimo + vicini, un ecovillaggio con reparti medico-chirurgici aperti a tutti... con i pazienti che vivano in sintonia con gli abitanti...
    personalmente non vedo male il diventare addirittura amico dei pazienti, certo non di tutti loro, anzi forse sarò in grado di farlo solo con pochi, tuttavia, è una esperienza che non mi voglio negare: proprio perché i miei pazienti li vedrò come persone e non come pazienti, con alcuni di loro potrò decidere di sviluppare un'amicizia
    .. e poi chissà se un giorno riuscirò a farlo con tutti... sarebbe bello poterlo fare
    per ora ci sono molto distante

    vabbuò, ma questa è soltanto la mia opinione... che dire, grazie ancora per averci dato la possibilità di parlarne! :)

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  5. ho postato una cosa sulla mia sanità ideale: http://liberoesperimento.wordpress.com/2009/04/25/la-mia-sanita-ideale/ ;)

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